Relazione Residenza d’Artista 2021/21 – Marialuna Storti

“La sperimentazione è  fondamentale per l’arte, la ricerca è infinita, l’artista serve per darle forma” (Marialuna Storti)

Il pensiero

L’idea è nata dall’esigenza di approfondire la conoscenza del mio materiale in relazione all’immagine.

Perchè la scelta della fotografia?

Perché nel mio percorso è un’arte che ho vissuto e apprezzato da spettatrice, e negli anni ho conosciuto diversi fotografi che mi hanno incuriosita rispetto al mio di linguaggio artistico: la carta fatta a mano.

La carta è sempre stato un supporto rappresentativo e funzionale per ogni tipologia di artista: il colore, lo spessore, la texture, l’incrocio delle fibre, danno a ritratti, paesaggi, rappresentazioni, illustrazioni, composizioni, scritti, un valore speciale.

L’immagine pittorica cambia totalmente rispetto all’uso di un tipo di carta o meno, tant’è che sono state create negli anni delle carte specifiche per ogni tecnica artistica.

Il mondo della fotografia non è escluso ovviamente da questo contesto, ci sono altre considerazioni tecniche da seguire ma l’immagine fotografica non è da meno, anzi, ha bisogno di un supporto che la definisce in tutti i suoi dettagli, che restituisce una certa nitidezza dell’immagine, che sia in grado di accentuare o calibrare i contrasti, i colori o il bianco e il nero, che permetta di focalizzare l’attenzione su di un particolare piuttosto che su un’insieme di elementi, insomma c’è un mondo dietro che bisogna conoscere!

Ma, a differenza delle altre arti, quando si parla di fotografia si pensa sempre a un immagine molto fedele alla realtà, molto di più rispetto ad altri linguaggi artistici che creano immagini e immaginari di tutt’altra natura (escludendo l’iperrealismo pittorico).

Quindi mi son detta perché non provare a realizzare una carta valida per la fotografia?

Così ho iniziato! Ho fatto i primi esperimenti eseguendo stampe digitali, ho impiegato del tempo prima di ottenere una carta per stampa Fine art, ma nel caso del digitale, il risultato finale è legato anche alla macchina.

Le difficoltà e la curiosità di tirare fuori un supporto che fosse pulito e definito come la fotografia mi ha portato a “sviluppare” altre possibilità sulla carta.

Il progetto e la sfida

L’opportunità di andare oltre e realizzare una carta per la stampa analogica si è presentata grazie al Csf Adams e la Residenza d’Artista alla quale ho partecipato.

Qui ho scoperto la camera oscura e mi si è aperto un ventaglio di possibilità rispetto all’ interazione tra le due materie: qui è nata la sfida! Sopratutto nel mio caso, in quanto realizzo fogli che nascono dalla carta riciclata, quindi dal recupero di fibre già usate, che lavorate a caldo e reimpastate con colle di natura vegetale riprendono vita in maniera piuttosto differente rispetto al foglio in origine.

Ci sono delle caratteristiche che la carta deve avere per garantire la riuscita della stampa fotografica analogica:

  • Resistenza
  • Impermeabilità
  • Elasticità


La resistenza riguarda l’immersione del foglio nei vari bagni chimici: dallo sviluppatore, all’acqua al fissativo, fino al risciaquo finale sotto acqua corrente. In questo processo sono fondamentali le tempistiche determintate dai provini fatti precedentemente per capire lo sviluppo fotografico.

Stesso discorso vale anche per l’impermebilità, altrimenti le carte nei vari passaggi chimici si sfalderebbero e per risolvere questa problematica ho iniziato ad usare delle patine esterne.

Le patine che ho realizzato sono fatte sempre con colle di origine vegetale e animale, ho stabilito dei parametri tra la quantità presente delle stesse nell’impasto e quelle in superfice, mischiandole o usandole singolarmente, dando una o più mani.

Credo che sia stata la caratteristica più complessa da risolvere, perchè subentrano molte componenti che ne alterano il risultato, a partire dall’asciugatura sia della carta che della patina, dal tipo di emulsione, come viene stesa e asciugatura della stessa, dall’umidità e dalle fonti di calore naturali e/o artificiali.

L’elasticità invece è stato il passaggio più veloce da risolvere grazie a un tipo preciso di colla, l’impresa quindi è stata trovare il punto d’incontro tra le colle naturali presenti nell’impasto e gli agenti chimici usati nel processo di stampa fino a garantire queste tre caratteristiche.

Ma dopo un anno e mezzo di lavoro siamo riuscite a trovare il giusto rapporto tra la stampa e la carta!

Tuttavia usando colle leggere e facendo tutto a mano, dall’asciugatura, alla pressa, dalla calandratura (in alcuni casi) alla collatura più o meno carica, la capacità di assorbimento del foglio rimane abbastanza alta.

Nonostante la precisione rimangono sempre delle irregolarità (macro e micro porosità che dipendono dalla realizzazione del foglio e dalla proporzione tra acqua e quantità della polpa) che restituiscono all’immagine una certa pittoricità quindi si ha una foto più “scarica” rispetto a una stampa su carta industriale, ma sicuramente si possono ottenere degli effetti decisamente più interessanti.

La visione: acqua – tempo – luce

L’aspetto interessante dei tentativi diciamo “non riusciti” è il risultato finale dell’immagine in alcuni casi è avvenuta una totale trasformazione, dove tutto si amalgama e il supporto entra in totale relazione con la foto.

Ma per spiegare questo “rapporto” devo partire necessariamente da un altro presupposto, ossia dalla mia ricerca personale.

La carta per me non è solo un supporto e non mi stancherò mai di acclamare la sua sensibilità, al fatto che è una materia viva e attiva, le trasformazioni date dal processo di creazione e dal suo legante principale: l’Acqua ne determina la forma, la fattezza e i ricordi delle fibre in origine.

Il mio lavoro non è casuale ma gestuale, anche se mi piace mantenere una componente di casualità e l’acqua è l’elemento che consente di esplorarla, ma che in questa tecnica bisogna imparare a gestire proprio per conoscere le differenze che si possono ottenere dalla carta.

La temperatura, il livello, le gocce, la proporzione tra quantità di acqua e polpa, l’umidità, i tempi di asciugatura sono tutte carattiristiche del processo di realizzazione, processo che potrebbe essere ricreato all’infinito, l’acqua permette di creare un ciclo perpetuo di recupero e di intervento sulla materia, anche una volta che il foglio è concluso: piegarlo, strapparlo, arricciarlo, deformarlo… mi piace definire l’acqua come strumento!

Questo strumento si muove però assieme ad altri due fattori: il tempo e la luce.

Anche il tempo come l’acqua contribuisce all’alterzione del supporto e quindi dell’immagine ma la cosa ineressante rimane sempre la deformazione e/ o definizione della foto.

La deformazione che in alcune fotografie è venut fuori non si limita a un gusto di tipo pittorico ma diventa anche segno indefinito o disegno, alcune carte hanno proseguito nel loro decorso e si sono ingiallite e le foto sembrano antiche, quindi: la foto trasla dalla sua dimensione per diventare altro e prendere vita diversa proprio come la carta grazie all’ultimo ma in realtà principale strumento: la luce.