Analogica ossessione| Pentax Spotmatic

 

Pentax Spotmatic SP

 

Caratteristiche:

  • Anno di produzione 1964
  • Fotocamera reflex ad ottica intercambiabile.
  • Formato pellicola 135mm.
  • Alimentazione 1 batterie al mercurio da 1,35V.
  • Baionetta innesto obiettivi del tipo a vite M42 .
  • Avanzamento e riavvolgimento pellicola Manuale.
  • Mirino con messa a fuoco a micro prismi.
  • Funzionamento in manuale
  • Lettura esposimetrica TTL del tipo media ponderata al centro.
  • Otturatore a tendina da 1” a 1/1000 più Bulb (per lunghe esposizioni).
  • Funzione di Autoscatto.
  • Sincronizzazione flash 1/60.
  • Tendine otturatore a scorrimento orizzontale.
  • Filettatura su pulsante di scatto per cavo flessibile per lunghe esposizioni.
  • Presa PC Sync per flash.

 

 

“La bellezza da sola basta a persuadere gli occhi degli uomini, senza bisogno d’oratori.” (William Shakespeare)

 

La sapeva lunga il caro William. È esattamente quello che mi è capitato quando ho posato gli occhi per la prima volta sulla Pentax Spotmatic.

“È inutile che menti…sei bella!” credo, più o meno, siano queste le parole che mi sono frullate in testa nel momento in cui ne ho presa una un po’ malconcia in mano.

Lo so, non si dovrebbe fare, è da superficiali acquistare una fotocamera basandosi solo su considerazioni estetiche piuttosto che qualitative, ma alcune emozioni tirano fuori il peggio dalla parte irrazionale del cervello e quindi addio a razionalità, freddezza e buon senso (inteso come “no! non comprerò un’altra fotocamera”).

 

Nonostante i rimorsi 🙄 di un acquisto incauto, fortunatamente per me, tanta bellezza va a braccetto con la qualità di una macchina fotografica che sembra pronta ad affrontare altri 50 anni con lo slancio e l’arroganza di una giovincella sicura della sua forte vitalità.

Una fotocamera “old school” quando la parola “plastica”, intesa come materiale per applicazione di meccanica e micromeccanica doveva suonare più o meno come dire “sai, io mi occupo di magia” nel 1500.

 

Piccola il giusto, essenziale nelle sue funzioni, meccanicamente costruita bene, con un gran bel mirino ed un innesto per obiettivi tra i più universali e di facile reperibilità al mondo. Il massimo dell’elettronica che la Spotmatic si concede è una batteria per l’utilizzo di un esposimetro che, visto l’irreperibilità delle pile al mercurio da 1,35V non vale la pena neanche utilizzare.

 

Tempi di posa da 1 sec. a 1/1000 più posa bulb, selettore degli iso, contapose, una bellissima ed elegante leva di carica per l’avanzamento della pellicola e per armare di nuovo l’otturatore, manovella di riavvolgimento del film che funziona anche come comando per l’apertura dello sportello posteriore, leva per l’autoscatto e due prese pc sync per l’utilizzo di flash. Basta, nient’altro che il minimo indispensabile ossia tutto quello che serve per fotografare con la mente sgombra da impostazioni/funzioni che spesso più che semplificarci la vita la complicano.

 

Il sistema di misurazione della luce fu tra i primi a lavorare in modalità TTL (Through-The-Lens) permettendo appunto di misurare la luce attraverso ciò che l’obiettivo sta inquadrando. Il sistema è lo stesso usato ancora oggi su tutte le fotocamere, ma all’epoca, per permettere questo tipo di misurazione, bisognava al momento della lettura esposimetrica chiudere fisicamente il diaframma al valore impostato con conseguente oscuramento del mirino. Una volta presa l’esposizione (e quindi abbassando l’interruttore che accende e spenge l’esposimetro) il diaframma veniva riaperto al massimo permettendo di inquadrare e focheggiare con la massima luminosità di cui l’obiettivo dispone.

Alla pressione del tasto di scatto un perno sull’ottica veniva premuto dalla fotocamera in modo che solo nella frazione di secondo legata all’esposizione il diaframma viene chiuso al valore impostato per poi riaprirsi al massimo subito dopo.

Soltanto con i successivi modelli Spotmatic F, Electro Spotmatic, ES ed ESII fu introdotto un sistema che permetteva all’esposimetro di misurare la luce utilizzando la simulazione del diaframma senza bisogno di chiuderlo realmente permettendo quindi di lavorare sempre con la luminosità al massimo (ovviamente servivano obiettivi con una particolare flangia interna per l’accoppiamento con il simulatore).

 

L’innesto degli obiettivi è di tipo a vite M42 (nel senso che gli obiettivi vanno veramente avvitati al corpo della fotocamera). Questo sistema, che già era in uso da Zeiss e Praktica, grazie a Pentax divenne incredibilmente popolare aumentando a dismisura il numero di produttori di ottiche con passo M42.

Il che ci porta subito al nocciolo della questione, per questa fotocamera esiste uno sterminato parco ottiche che va da vere e proprie ciofeche mascherate da obiettivi a veri e propri capolavori ottici ancora oggi ricercatissimi.

Ovviamente Pentax presentò la sua linea di obiettivi M42…i Takumar!

Non voglio dilungarmi tanto, vi dico solo che per quanto mi riguarda credo siano i migliori obiettivi giapponesi mai prodotti per qualità meccanica ed ottica. Dei veri e propri capolavori, che nel tempo si sono addirittura evoluti nei materiali e nella costruzione.

Ecco che i Takumar diventano Super Takumar prima e Super Takumar Super-Multi-Coated dopo (con queste sigle comincio a sentirmi in un Anime).

 

Tra le varie leggende che circondano il mondo Pentax ce ne sono 2 molto interessanti.

 

La prima narra che la primissima versione del Super Takumar 50mm f1.4 sia stata realizzata con una costruzione ad 8 elementi talmente di qualità e dai costi di realizzazione molto elevati che in quel periodo la Pentax per ogni ottica venduta ci abbia rimesso soldi. Infatti, praticamente dopo pochissimo, venne realizzata una versione del 50mm con 7 elementi ottici invece che 8.

 

La seconda leggenda sussurra che il trattamento anti riflessi (Super-Multi-Coated) inventato da Pentax venne utilizzato uguale uguale dalla Zeiss per il trattamento delle ottiche Hasselblad V con la famosa scritta T*.

 

Hai capito ‘sta Pentax?!?!

Il mirino per una macchina di vetusta età come questa è davvero bello. Grande, luminoso e senza nessuna indicazione interna relativa a tempi e diaframmi o iso. Solo una lancetta (quella dell’esposimetro) con i simboli di sovra/sotto esposizione. Bello, pulito e nitido. Forse l’unica cosa che non mi fa impazzire è il sistema di focheggiatura sul vetrino del tipo a prismi invece che ad immagine spezzata o addirittura una combinazione di prismi ed immagine spezzata…vabbè che ci vuoi fare, la vera bellezza sta nei piccoli difetti che ci rendono imperfetti, no?

 

Avete notato che non c’è nessuna slitta porta flash sulla testa del pentaprisma? Sembra suggerirci di utilizzarla per catturare qualsiasi situazione in luce naturale. Beh, forse è per questo che è nata. Viene voglia di portarsela dietro sempre, magari anche con un solo obiettivo un 28mm o un 35mm per fare street. Oppure solo con il meraviglioso 50mm f1.4 per scattare in qualsiasi condizione di luce. O forse come me potreste solo aver voglia di girare la ghiera della messa a fuoco o dei diaframmi per il piacere tattile che questi “gioiellini” sanno dare.

Ho montato il 50mm con un anello adattatore sulla mia mirrorless per testare il corretto funzionamento e sono rimasto davvero colpito dalla qualità ottica. Nitido già a f1.4, tridimensionale nella resa, colori vivaci,  B&N intenso ed un piacevolissimo bokeh.

 

Date retta ad un maniaco “sensuale” di fotocamere, questa è “roba” che vale tutti i soldini spesi, qualcosa che ha il diritto di entrare nella top ten dei sistemi fotografici che hanno fatto la storia della fotografia.

Ma soprattutto, anche se non vi serve un’atra fotocamera lasciatevi almeno colpire dalla bellezza delle sue linee rigide, smussate, accompagnate e raccordate con sapienza. La versione in nera in mio possesso ha un misterioso fascino dark e dettagli scintillanti. Graffi e polvere non sminuiscono minimamente il suo fascino, sono come rughe che accarezzano il viso di chi ha qualcosa da raccontare.

È inutile che menti, sei bella!

 

Marco Di Meo