Culture Fotografiche: Il Collage Come Modello Di Produzione Di Senso

Vorrei, in questo articolo, riflettere ancora sul tema del collage, presentando un autore poco indagato nel mondo della fotografia, ma a parere di chi scrive, estremamente interessante e carico di implicazioni: Paul Citroen.
Nel collage, lo spazio omogeneo della rappresentazione è rotto attraverso l’inserimento di materiali differenti, utilizzando diversi dispositivi relativi allo spazio e alla temporalità: scale diverse, raddoppiamenti e mise en abîme, cancellazione della profondità e della gerarchia tra le parti, rottura della continuità narrativa, addensamento di narrazioni, faglie, anacronismi, differenti dinamismi temporali e contrattempi.


L’immagine collage è un’immagine multidimensionale (non un piccolo universo, ma un multiverso si potrebbe dire), aperta su una molteplicità di mondi, quello dell’artista, quello dell’osservatore, quello delle altre opere, dei codici culturali.


L’osservatore, con le sue cognizioni e proiezioni, è integrato consapevolmente e continuativamente in questo spazio aperto e massimamente ambiguo e mantenuto in uno stato di inquietudine, dépaysement e sospensione che, insieme agli altri dispositivi, lo induce a rompere e ricostituire i suoi elementi interpretativi, senza che gli sia possibile arrivare a una conclusione definitiva sul significato dell’immagine.


Adamowicz ha definito il collage una “modalità di migrazione dei segni”: i frammenti rimossi dal loro contesto originario e rimessi in movimento, perdono il loro senso consueto, divengono disponibili per nuove e inconsuete associazioni, le quali, da una parte producono nuovo senso e dall’altra diventano luoghi di cristallizzazione di desideri e di paure inconsce (gusci vuoti da riempire). E’ l’apertura a quella che Breton chiamava la potenza del «caso oggettivo». Max Ernest, in “Oltre la pittura”, scrive: “Qual è la più nobile conquista del collage? L’irrazionale. La magistrale irruzione in tutti i campi dell’arte, della poesia e della scienza nella vita privata degli individui e in quella pubblica dei popoli”.
Potremmo affermare che il collage si impone come modello di produzione di senso nell’epoca della modernità.


In sintesi si mettono in luce due procedimenti fondamentali e due oggetti: una selezione e una combinazione di messaggi qualsiasi, con la doppia condizione costitutiva di prenderli da insiemi già organizzati e ridisporli in un sistema di allotopie. In altri termini, secondo questo approccio formale, pur nella varietà delle forme, concezioni e realizzazioni, nel collage/montage ha luogo un processo decostruttivo/costruttivo che si può condensare in due operazioni: il prelievo e/o il taglio e l’assemblaggio (collage o montage) in un nuovo insieme. Ogni elemento strappato a un contesto e inserito in un altro, rompe la continuità o la linearità del discorso e porta a una doppia lettura: quella del frammento percepito in relazione al suo contesto di provenienza e quella dello stesso frammento all’interno di una nuova e diversa totalità.


Se uno degli aspetti della modernità si coglie nella natura discontinua dell’esperienza moderna da una parte e dall’altra nella natura reificata del mondo che esperiamo, un mondo in cui la totalità è perduta e irraggiungibile, in cui le cose esistono in isolamento oppure sono connesse in un continuum livellato secondo un ordine eteronomo, allora rendere giustizia al mondo significa distruggere le false immagini delle cose e la falsa totalità che ci si presenta, recuperare e riutilizzare i frammenti, i detriti, gli scarti.

Roelof  Paul Citroen  nasce a Berlino, il 15 dicembre 1896  e muore a Wassenaar,  il 13 marzo 1983). Roelof Paul Citroen è stato un artista, fotografo e docente olandese di origine tedesca, tra i più interessanti esponenti della cultura delle avanguardie tra le due guerre, cofondatore della New Art Academy di Amsterdam. Paul nasce in una famiglia ebraica della media borghesia, emigrata in Germania alla fine dell’800. Contro la volontà dei genitori, che lo vorrebbero indirizzare a lavorare nella bottega di pellicceria di proprietà, abbandona giovanissimo la scuola, litiga a tavola, scappa di casa tra le urla dei genitori (il padre non accetterà mai questa sua scelta), ben deciso a divenire un artista, e a imparare a dipingere e a fotografare.


Testardo lo è di sicuro. Ma certo, ha anche la fortuna di abitare a Berlino, nel primo ventennio del ‘900. Come dire Atene nell’età di Pericle.
Dopo le prime fallimentari esperienze, proprio a Berlino entra in contatto con la celebre galleria Der Sturm, dove 1918, conosce George Grosz, finendo per aderire entusiasta al movimento Dada. Si fa subito notare per la sua intelligenza e per il suo carattere da leader, tanto che viene nominato direttore della centrale Dada di Amsterdam, e nel 1920 collabora alla preparazione del “Dada-Almanach”. Nel 1922 decide di fare il grande passo e, superati gli esami di ammissione, entra alla Bauhaus di Weimar, dove studia sotto Paul Klee, Wassily Kandinsky e Johannes Itten. Sarà proprio lì, che nel 1923 esporrà il suo lavoro più celebre Metropolis, un ciclo di fotomontaggi ispirati alle città del futuro nei quali è riconoscibile l’influenza di altri suoi docenti come Raoul Hausmann (inventore del fotomontaggio) e di Hannah Höch. Un’opera fortemente innovativa, che attirerà l’attenzione della critica e che darà l’idea al regista espressionista Fritz Lang per realizzare l’omonimo film-capolavoro, al quale vorrà dare lo stesso nome. A partire da questi anni Citroen continua a produrre i suoi famosi fotomontaggi, che troveranno la loro massima espressione tra il 1929 e il 1935, lavori che sono una splendida sintesi della ricerca formale di quegli anni chiaramente influenzati dal rapporto con Blumenfeld.


Vent’anni dopo, conclusa la repressione nazista, Citroen potrà ritornare a esprimersi. Ma ha forse perso la capacità propulsiva ed esplosiva dei primi anni. O forse vuole solo trasmettere, ad altri come lui, ciò che ha imparato. Insieme a Charles Roelofsz fonda la Nieuwe Kunstschool ad Amsterdam per poi divenire docente presso l’Accademia Reale.


Smesso l’insegnamento continuerà a dipingere, ritornando al figurativo, banalizzando forme e visioni, come spesso succede ai grandi.
Morirà nel 1983 a Wassenaar. Ma in qualche modo, vive dentro ognuno di noi e nelle nostre città.


Ma torniamo al ciclo Metropolis.


E’ infatti proprio qui, nella sede della Staatliche Bauhaus di Weimar nel 1923, in occasione delle celebre esposizione degli allievi, che nascono le tavole di fotomontaggi ispirate al tema della città, chiamate appunto Metropolis. Un progetto ambizioso e visionario, stimolato dalle sperimentazioni Raoul Hausmann, (altro genio incredibilmente sottovalutato) che proprio della tecnica del fotomontaggio è stato l’inventore. Si tratta di una visione maestosa e apocalittica che sembra dare vita alla città del futuro, la quale sembra replicarsi e auto generarsi, come fosse quasi un organismo vivo. Sono queste le immagini che lo fanno immediatamente notare tra tutti gli studenti, e che il regista Fritz Lang vede mentre la visita la ormai celebre “mostra didattica” della Bauhaus. Quelle città tumultuose, quegli scenari futuribili e apocalittici, completano l’ispirazione che egli sta già maturando dopo la visione in aereo di New York di notte, come avvenuto pochi giorni prima arrivando in città per la prima de “I Nibelunghi”. Completano e arricchiscono. Tanto che Lang deciderà di dare al film, che uscirà 3 anni dopo, lo stesso nome ideato da Citroen. Mentre i suoi fotomontaggi serviranno d’ispirazione alle scenografie di Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht.


Questo fotomontaggio fu esposto nella prima mostra della scuola, nel luglio-settembre 1923. Il Collage originale fu costruito da duecento immagini asportate con una lama affilata (tipo cutter) da giornali e cartoline (di cui Citroen era un avido collezionista) e meticolosamente incollato e disposto su un supporto secondario. Non c’è un solo spazio tra i pezzi del collage. Questa immagine è stata pubblicata nel 1925 nel libro di László Moholy-Nagy Malerei, Fotografie, Film (Painting, Photography, Film), con il titolo Die Stadt I (La città I), insieme ad altri due fotomontaggi. La stampa originale ha dimensioni 67,1 centimetri per 58,4 centimetri. La stampa della Thomas Walther Collection, considerevolmente più piccola del collage originale, è di soli 20,3 centimetri per 15,3 cm centimetri. L’opera dà la forte impressione di un micromondo che può essere tenuto in mano.

È probabile che Citroen abbia creato l’internegativo essenziale del fotomontaggio fotografando il collage su un cavalletto o appuntato al muro, quindi ha eliminato elementi di sfondo indesiderati ritagliando o rifilando nella fase successiva della produzione. Nella stampa, i dettagli di ogni edificio possono essere rilevati ad occhio nudo, ma al microscopio la meticolosa preparazione di Citroen è ancora più chiara, così come le identità degli edifici e altre deliziose giustapposizioni architettoniche. La superficie della fotografia è opaca e, con uno spessore di 0,168 millimetri, leggermente più sottile delle tipiche carte a grammatura singola della Walther Collection di quegli anni. L’analisi della fibra indica che la carta fotografica è stata prodotta tra il 1915 e il 1927. Il collage originale Metropolis (Città della mia nascita) è stato modificato da Citroen dopo il 1925, forse per correggere bordi e gli angoli danneggiati o altre perdite.

Gabriele Agostini